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damiano & violette 's blog
14 juin 2009

ITA-03 Gili Islands sunrise

Non mi sarei aspettato di collezionare « sunrise » nel corso di questo viaggio. Eppure stamattina come quando stavamo ad Amed, mi sono di nuovo svegliato alle sei, sono uscito dal bungalow e ho percorso i trenta metri che mi separavano dalla spiaggia, per godermi l’alba seduto su un lettino di fronte al “Sunrise bar & bungalow”. Un altro “Sunrise” siamo alle Isole GIli. Come ci siamo arrivati?  Dopo Amed abbiamo percorso per un centinaio di kilometri la costa nord di bali fino a raggiungere Lovina. Quarta tappa del nostro giro di Bali in motorino. Piu di una persona ci aveva parlato bene di questo posto, e anche le guide non si risparmiano "rilassante”, "l’ideale per prendersi una pausa dal caos di Bali meridionale" etc.
   A noi Lovina ci é sembrata giusto una località di villeggiatura che non ha molto da offrire. E’ qui che abbiamo visitato le peggiori camere di Bali, stanzette luride, in complessi che cadono a pezzi affacciati su pezzi di spiaggia sporca dove nessuno si bagna.  Ci abbiamo messo parecchio a trovare un posto dove fermarci. Ma alla fine ne é valsa la pena, per dieci dollari a notte abbiamo posato le nostre borse in un bungalow dalla tradizionale struttura balinese col tetto in legno alto sei metri, rifinito ; pulitissimo, in un complesso calmo, pieno di verde e con una piscina di acqua salata « dalla tradizionale forma a fagiolo » (per usare il lessico delle guide…) . E per un mezzo dollaro ti portano pure a bordo vasca il pinapple juice fatto al momento.   L’albergo ci é piaciuto davvero tanto al punto che ci siamo rimasti per due notti.  Per il resto Lovina non ci ha spezzato il cuore, le spiaggie sono brutte e nessuno si bagna. Non ci sono onde (quindi niente surf !) perché si infrangono sulla barriera corallina a circa mezzo chilometro dalla spiaggia. Ecco una cosa bella che abbiamo fatto a Lovina: ti metti daccordo con un pescatore (il prezzo é fisso) che con la sua giunca ti porta in mezzo alla barriera coralline e da li te ne vai a spasso un’oretta con pinne tubo e maschera. Lui aspetta sonnecchiando sulla barca e poi ti riporta a riva.

Un’altro buon ricordo é il seafood basket che ci siamo gustati a pranzo in uno dei numerosi ristorantini di pesce della zona. C’é da dire che a Lovina come ad Amed abbiamo respirato l’atmosfera da bassa stagione, pochissimi turisti in giro e alberghi e ristoranti vuoti. Pero a Bali vai in un ristorante vuoto e pure se sei l’unico cliente non é come in Italia che ti dici “chissa che me fanno magnà”.  Da queste parti in generale c’é uno sproposito di manodopera rispetto al numero di clienti, e le cose si preparano sempre all’ultimo momento. A Lovina la cucina del ristorante, grande, ordinata, pulitissima e vuota era all’aperto e proprio di fianco al nostro tavolo. Il cameriere ha preso l’ordinazione e l’ha passata dall’altra parte del muretto. E subito sono spuntati uno dopo l’altro quattro cuochi che hanno cominciato a preparare il nostro piatto. Frighi che si aprono, pentole e stoviglie che spuntano da ogni angolo: da una parte una che taglia i calamari a rondelle, prepara la pastella, li impastella, mette l’olio nella padella e li frigge mentre al suo fianco qualcuno fa la stessa cosa con i gamberoni. Dall’altra uno che taglia una trancia di tonno, mette a punto un intigolo, la spennella e la mette sulla brace e non la lascia piu fino a fine cottura.  Qui una che pulisce e prepara il pesce alla griglia, là un’altra che dosa gli ingredienti e poi passa nel frullatore il miscuglio da cui usciranno le salsine di accompagnamento. Dopo una lunga attesa il seafood basket arriva sul nostro tavolo. Ci sbafiamo il tutto con un’ingordigia che non fa giustizia a tanta cura nella preparazione e nel frattempo al nostro fianco i quattro rimettono tutto a posto, puliscono e quando noi abbandoniamo l’ultima codina di gambero smozzicata su una pila di resti di pesce la cucina é di nuovo impeccabile come prima del nostro arrivo.

La mattina dell’ottavo giorno di viaggio (in motorino) carichiamo le borse per l’ultima volta, si torna a Kuta. Dopo appena duecento metri si mette a piovere, e tra uno scroscione e l’altro la pioggia ci accompagnerà fino al pomeriggio. Ci mancava l’acqua ! Sono sette giorni che  siamo per strada ma ancora non ci siamo presi l’acqua, e non c’é vero viaggio on the road senza una bella scorpacciata ci chilometri sotto la pioggia. Ed e’ sotto un acquazzone memorabile che saliamo i ripidi venti chilometri di stradine che dalla livello del mare di Lovina costa nord ci portano ai 1400 msl dei crateri centrali di Bali. Percorriamo la cresta tra i due laghi vulcanici di Bedugul e poi é discesa per trenta chilometri ininterrotti sulla statane numero due. Lungo la discesa spuntano i primi raggi di sole e quando siamo a dieci chilometri da Kuta fa di nuovo bello e caldo. Ancora venti minuti di strada e siamo a casa. Alle cinque parcheggiamo il motorino nel cortile del Keddins’inn di Kuta, da dove eravamo partiti otto giorni e cinquecento chilometri prima. Ritroviamo Gosh che ci ha riservato la stessa stanza che avevamo prima di partire : la numero uno. Ora pare proprio di essere tornati a casa !

Dopo tre giorni a Kuta-bali-on-the-cheap, il tempo di farsi un’altra grigliata di pesce a Jimbaran e una nuova lezione di surf con Wang, ci mettiamo a rifare le borse. Questa volta si lascia le sacche del viaggio in motorino al Keddin’s Inn e si riparte con gli zaini. La mattina seguente alle sei saliamo su un pulmino che ci porta al porto di Padang Bai. Da li alle nove e mezza prendiamo il ferry che collega Bali a Lombok, La grande isola all’est di Bali. Arriviamo alle due e dal porto un altro pulmino ci porta a Kuta-Lombok, sull’estremita merdionale dell’isola. Lombok ha poco a che spartire con Bali. Non ci sono i turisti di Bali ma neanche le attrattive. L’isola é povera e i suoi siti piu belli non sono per niente sfruttati. Arrivati a Kuta-Lombok ci sentiamo degli intrusi. Turisti non se ne vedono. Visitiamo qualche camera che non ci convince fino a quando non mettiamo piede al « surfer’s inn » un posto fatto per accogliere i surfisti in cerca dei break piu selvaggi. Noi non siamo venuti qui per il surf, io a malapena cavalco delle onde piccole e in acque poco profonde. Qui si surfa al largo (dietro le barriere coralline) proprio non ci penso. Abbiamo fatto tutta questa strada un po per toglierci il lusso di visitare un posto davvero off the beaten tracks e alla fine abbiamo avuto la conferma di quello che ho sempre pensato: se ste tracks non sono beaten un motivo ci sarà. I turisti non sono tutti pecoroni scemi. Al surfer’s inn di kuta lombok c’é una bella piscina, e un sacco di gente passa la giornata a bordo vasca, prendendo il sole, leggendo. Ci sembra un po come se fosse il resort lussuoso allinclusive dove abbiamo passato i primi giorni della nostra vacanza a Bali. Solo che qui intorno alla piscina non ci sono ciccioni di mezzaeta ma trentenni belli spigliati, di quelli che come noi si sono spinti un po off the beaten tracks.   Ma restano li, chiusi nel Surfer’s Inn in questa atmosfera surreale. Una ragione c’é, si dice che al contrario di Bali dove puoi lasciare la macchina fotografica sull’asciugamano quando vai a fare il bagno in mare e stai sicuro che la ritrovi quando esci dall’acqua, come tutti ma proprio tutti lasciano il casco appoggiato sul motorino dopo aver parcheggiato e in un mese non ho visto un catenaccio dico uno ; a lombok e in particolare a lombok meridionale, la regione piu povera dell’isola bisogna fare attenzione. Le guide dicono che ci sono turisti che si sono fatti aggredire da ladri armati di coltello o addirittura gente che ha affittato il motorino poi se l’é fatto rubare, probabilmente dagli stessi che gliel’hanno affittato, in combine con i ladri. O magari sono rimasti vittima di incidenti combinati, nello stesso spirito.
   E a Kuta-Lombok senza motorino non fai granché perche le spiaggie piu belle sono a diversi kilometri di distanza a est e a ovest. Ci siamo informati, alla fine abbiamo deciso di prenderlo sto motorino. Fa un effetto strano quando per affittarlo basta dare quattro dollari a un regazzetto al bordo della strada che a parte non tirare fuori uno straccio di contratto non ti chiede neanche come ti chiami, “tanto noi stiamo qua facciamo sulla fiducia, pero occhio che non c’é assicurazione” ecco non é molto rassicurante.  In sella al motorino (questa volta un Honda Supra, il leggendario scooter con cambio manuale senza frizione) siamo partiti per la spiaggia che si trova all’est.
Poi ci siamo fatti le spiaggie all’ovest, prima Manum, poi Mawi e infine Selang Blanak
Quest’ultima la Guide du Routard la presenta coma la piu preziosa, la piu selvaggia, la piu « off the beaten traks » insomma. Effettivamente la spiaggia é magnifica, una distesa di spiaggia bianca come  zucchero larga e compatta che finisce in un mare blu, e di un turista manco l’ombra. Pero a differenza delle altre spiaggie che erano molto isolate qui si accede passando per un villaggetto di pescatori.  Un paio di regazzetti del posto vengono subito verso di noi e non ci mollano piu, non gli sembra vero di incontrare un occidentale e poter parlare un po inglese. Uno dei due studia una scuola di turismo. La spiaggia é magnifica, ma non ti fa sognare, non ti viene manco voglia di metterti in costume. Nessuno prende il sole (per gli indonesiani l’abbronzatura é sinonimo di ingnoranza, al supermercato al posto delle creme solari trovi le creme sbiancanti) qualcuno del posto si fa il bagno, ma vestito.   E poi dei regazzetti scendono in spiaggia con i motorini e si mettono a correre sul gnanasciuga su una ruota sola.

Dico al nostro amico « certo che quest’isola é piena di risorse ancora da sfruttare dal punto di vista turistico, guarda questa spiaggia, cosi bella e la gente che ci corre con i motorini » « si é vero » mi fa lui «  é che qui ogni settimana organizzano delle gare, e la gente scommette soldi » «  ma io non ci vado é pericoloso » « eh si » gli dico «  certo che é pericoloso, le impennate a questa velocita pure se sei sulla spiaggia… » « no » mi fa lui « non é questo,  che spesso visto che girano i soldi delle scommesse ogni tanto finisce male e spuntano i coltelli » a OK, ora capisco… dopo dieci minuti abbiamo discretamente levato le tende, con una malcelata voglia di ritornare verso le « beaten tracks ».

E ci dice bene, il giorno dopo si parte per le Gili Islands, « No cars, no bikes, no worries » come dice la pubblicità.  Tre isolette a nord ovest di Lombok dove non ci sono mezzi a motore e si respira –cosi pare- un’atmosfera delle isole tropicali come te le raccontano i depliant turistici.

Le tre isole hanno tre caratteri molto diversi, e noi abbiamo deciso di visitarle tutte e tre, una dopo l’alta.

Prima tappa : Gili travagan la party Island. OK la storia del paradiso tropicale ma quando abbiamo visto al porto che c’erano un centinaio e passa di persone che aspettavano l’imbarco per Gili travagan e chissa quanti altri sarebbero arrivati il pomeriggio abbiamo cominciato a prepararci al peggio. L’isola si é fatta la reputazione di party island aiutata dal fatto che oltre a macchine e motorini l’altro grande assente  sulle gili é la polizia, tutto é regolato dal « capo villaggio » e quindi majuana e funghetti circolano piu facilmente che altrove in Indonesia.

Sull’isola che fa piu o meno tre-quattro chilometri di lunghezza ci sono parecchie strutture, tutte concentrate nella zona sud est, e dove non ci sono alberghi si costruisce (le barche che attraccano a GIli Travagan scaricano nell’ordine : 1) turisti, 2) casse di birra Bintang 3) sacchi di cemento.  E dove non si costruisce e c’é ancora un po di verde vedi un cartello « land for sale ».  L’isola ha fatto il botto di recente e lo sviluppo é senza freno. Ma nonostante tutte queste premesse ci é bastato camminare dieci minuti per scoprire dei posti magnifici, e il nostro bar preferito. Quattro palafitte di legno e bambu affacciate sul lato nord (ovvero dove batte il sole, siamo sotto l’equatore) ti siedi su un cuscino, prendi un succo di ananas fatto al momento per riparti dal sole delle quattro, poi il sole scende e alle cinque e mezza ordini la prima bintang della serata per goderti il tramonto mandando giu un sorso di « blody cold beer » come amano dire da queste parti, e quindi resti per la cena, quando ormai fa buio e dalla tua palafitta ti godi la tranquillita della sera inerrotta solo dal rumore delle onde che si infrangono sotto i tuoi piedi.  Potrebbe essere uno dei posti piu esclusivi e lussuosi del mondo, ma la cosa bella é che si tratta di un caffé senza troppe pretese, come ce ne sono tanti da queste parti, ed é forse questo spirito che rende speciale le Gili Island, posti straordinari che non hanno l’antipatico sapore dell’esclusività.

Dopo tre giorni abbiamo lasciato Gili Travagan per salpare alla volta di GIli Air.

Siamo seduti a uno dei tanti café sul mare, oltre a noi e ai cinque camerieri che sonnecchiano dietro al bancone ci sono solo altri tre clienti. Un bisteccone australiano sui trent’anni che ha tutta l’aria di essere un cliente fedele e di lunga data e una coppia di tedeschi appena arrivati sull’isola. « So what to do here ? » fa il tedesco. « There’s not so much to do here but snorkling » risponde l’autraliano « In fact this is really a nice place to do do nothing ».  E in due parole sintetizza perfettemente lo spirito dell’isola “a nice place to do nothing”.

L’abbiamo preso alla lettera e per tre giorni ci siamo sollazzati nel dolce far niente. E per tre sere di fila abbiamo cenato al “Biba beach café”, il ristorante dell’omonimo homestay gestito da una coppia di milanesi che un anno fa ha mollato tutto per lanciarsi in questa avventura. Tra un piatto di pasta fatto in casa e una memorabile grigliata di White Snapper abbiamo scoperto due persone che sono tutto il contrario del luogo comune del tipo che lascia la routine per ricominciare da zero una vita in un paese tropicale. 

Uno se li immagina, sognatori, un po fricchettoni, con la testa nelle nuvole, e invece li scopri quadrati, razionali, che sanno quello che vogliono.  Claudio e Sabrina hanno mollato Monza un anno fa e in otto mesi sono riusciti a creare dal nulla -ma proprio dal nulla : un pezzo di terra acquistato al loro arrivo- un ristorante e tre boungalow decisamente al di sopra della media dell’isola.  E ora sono quattro mesi che il loro affare gira, malgrado il contesto non sempre facile. Perché come te lo aspetti se Bali é tanto bella per trascorrerci le vacanza viverci e far funzionare un’attività puo diventare rapidamente un incubo, ancor di piu qui a Lombok, Bali in versione roots.

La calma e l’inerzia locale, delizia del turista, brilla di diversa luce agli occhi di qualcuno che aspetta pazientemente che tre operai riescano finalemente a installare un interruttore.

Due chiacchere diventano una lunga chiaccherata, fa un mese che siamo a Bali, nelle loro parole ritroviamo tutto quello che abbiamo visto fino a questo punto e ci resta in testa la definizione dell’indonesiano tipo « sai » ci dice Claudio, « é come il modello di base, sai la macchina senza nessun optional, manco gli alzacristalli elettrici ? Ecco l’indonesiano tipo é l’essere umano modello di base, non gli puoi chiedere piu di tanto devi solo imparare a viverci insieme, ma certe volte é dura. » Perché quando alla fine l’interruttore é a posto uno si mette a farlo scattare su e giu col dito per un‘ora mentre l’altro lo guarda e tu non gli puoi dire nulla se no la prendono come una cosa personale e poi quando li rivedi.

Quando anche l’ultimo cliente é partito si siedono a un tavolino a due passi dal mare, é il momento della cena anche per loro, e di fronte alla luna che si riflette nelle onde, la marea sale, mi dice che anche se il lavoro é duro, dopo un anno di questa vita non se la sentirebbe di mollare questa meraviglia per tornare nella metropoli.

La partenza da Gili Air é piu dura delle altre, ci sono ancora tanti giorni di vacanza davanti a noi ma sara difficile trovare di nuovo un simile paradiso “such a nice place to do nothing”.

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Commentaires
C
Va beh ma partendo da milano il confronto si vince sempre!ehehe!<br /> ciao viaggiatori!<br /> chia
damiano & violette 's blog
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